lunedì 24 luglio 2017

Sant'Andrea Frius

Sant’ Andrea Frius (Sant’Andrea de Frius) [1]
Immagini della Trexenta ottocentesca: Sant'Andrea Frius
 
SANT’ANDREA DE FRIUS o FRIAS [S. Andrea Frius], villaggio della Sardegna nella provincia e prefettura di Cagliari, compreso nel mandamento di Senorbì e nell’antico dipartimento di Trecenta del Giudicato Cagliaritano.
Il suo antico nome era Frias, e Frius, e per qualche fatalità mancatavi la popolazione vi rimane una chiesa dedicata a s. Basilio, intorno alla quale si congregarono poi alcuni coloni scegliendo veramente con poca saggezza il sito.
 
 
Di esso trovasi menzione nell’atto di donazione dell’Incontrada suddetta di Trecenta, che si fece dal giudice del regno di Cagliari Torgotorio al suo figlio Salusio di Lacon nel 1119 addì 20 giugno. La villa di Frius vi è indicata quattordicesima tra quella di s. Basilio e Donnigalia Alba.
Vuolsi che il luogo fosse ancora deserto e tutto ingombrato di boscaglia in sulla fine del secolo XVII, e che solo ne’ primi anni del XVIII vi si stabilissero alcune famiglie.
È fama che in questo sito, dove passava una strada assai frequentata, si mettessero in agguato molti malviventi per spogliare i viandanti.
La sua situazione geografica è nella latitudine 39° 28' 30" e nella longitudine orientale dal meridiano di Cagliari 0° 3' 30".
Giace in valle in un seno, che formano varie colline, le quali levansi al sirocco, austro, levante, tramontana, e che lo coprono a tutti quei venti, non lasciando libero il varco che al maestro-ponente.
Per siffatta posizione provasi nell’estate un forte calore, e un po’ di freddo nell’inverno se dominano i maestrali, e sentesi in ogni tempo, e massime a certe ore, una grande umidità, che è dannosa agli abitanti, come lo è a questi ed a’ vegetabili in certe circostanze la densa nebbia che spesso ingombra il vallone.
L’aria resta depravata non solo dalla immondezza delle strade, e da’ miasmi dei letamai posti intorno all’abitato e dalla corruzione delle foglie grasse de’ fichi d’India, ma peggio ancora nella stagione calda dalla infezione delle acque che ridondano dal recipiente della pubblica fonte in centro del popolato, e che impaludando diffondono esalazioni troppo moleste, incomodo cui si potrebbe rimediare se si selciasse il locale presso alla fonte ed abbeveratojo delle bestie, e si desse uno scolo. Ma chi pensi al comodo pubblico? chi voglia spender poco per liberar il paese da tanta bruttura?
Componesi questo popolato di 210 case, le quali occupano una estensione maggiore del bisogno a cagione che ciascuna casa ha il suo piazzale, e questo assiepato da fichi d’India.
La popolazione componesi di circa 910 anime, le quali sono distinte in maggiori d’anni venti maschi 240, femmine 263, e minori maschi 197, femmine 200.
Notaronsi le seguenti medie, nascite annuali 30, morti 17, matrimonii 6.
Gli abitanti sono gente laboriosa e tranquilla, attendono studiosamente all’agricoltura, e alcuni anche alla pastorizia; delle arti meccaniche si sa e si pratica quanto solo è di necessità in una popolazione. Le donne al solito tessono lino e lana, e vendono tele e panni.
Le più frequenti malattie sono infiammazioni toraciche con le loro conseguenze.
La scuola primaria è frequentata solo da circa 10 fanciulli senza alcun profitto.
I Friasini sono sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari.
La chiesa parrocchiale è sotto l’invocazione di s. Andrea, ed ha contigua la piccola chiesa antica dello stesso nome, chiesa allora campestre, intorno a cui, come ho accennato, si formarono le prime abitazioni, e che servì di parrocchiale fino alla costruzione della presente, che fu eretta indi a non molto.
È questa parrocchia prebenda della mensa dell’arcivescovo, il quale vi manda per far le sue veci un prete che deve far tutto senza alcuna assistenza.
La festa del titolare addì 30 novembre, è la sola notevole; essa fassi lietissima da tutti gli usati pubblici divertimenti, e popolosa per una piccola fiera, alla quale concorrono dalla capitale, dalla Tregenta e dai vicini e lontani dipartimenti molti artefici con le loro opere, e mercadanti con le loro merci.
Il cemitero è contiguo alla parrocchiale, nè ancora si pensa al formar un camposanto.
Territorio. Come abbiamo già indicato è rilevato quasi a tutte parti per molte colline notevoli, massime quelle che sorgono alla parte di levante e scirocco, le quali formano una catena lunga circa cinque miglia, che pare dipendenza della massa di monte Igi, eminenza principale del dipartimento del Gerrei. Sono essi detti monti Casari.
Quasi aderente all’estremità della detta catena è un’altra serie di colline, che sono sette, e si distendono in linea dall’austro al ponente. Queste hanno la denominazione di Asìli.
Alla parte poi di tramontana in là del colle che abbiamo già indicato vedonsi altre eminenze, alcune di larga base, e tutte di facil pendio e coltivabili.
Sono nel territorio molte fonti, e alcune pregiate per la purezza delle acque. Dove tra le altre notasi quella detta di Miuri, a non molta distanza dall’abitato, la quale somministra abbastanza per bevanda alla popolazione, già che i pozzi che sono aperti dentro il paese danno acqua pesante e di gusto nauseante che serve per gli usi domestici e per abbeverare il bestiame.
Dalle notate sorgenti formansi vari rivi, de’ quali tre soli sono degni di menzione, uno quello che formasi presso il paese e scorre verso ponente-maestro al fiume maggiore; il secondo quello che scorre nella regione settentrionale del territorio nella stessa direzione, e si unisce a un altro rivo che formasi da varii ruscelli provenienti dal territorio del Gerrei, e si versa nel-l’anzidetto fiume: il terzo detto Cogìnas, è maggiore de’ suddetti, corre nella regione meridionale verso ponente, passa presso Donori e si versa nello stesso fiume. L’origine del Coginas è in territorio di Pauli Gerrei, nella regione detta Sa figu arrubia de Sanguini.
Il Coginas si guada facilmente in tutti i tempi, non però immediatamente dopo grandi acquazzoni per l’affluenza dei torrenti.
Prendonsi in esso poche trote, che però sono assai pregiate per il gusto.
Erano in questo territorio grandi selve, ora non resta che un piccol ghiandifero di leccio in quella parte, che dicesi Flumini de Asili. Il ferro e il fuoco ha distrutto o diradato i grandi vegetabili negli altri siti.
Il selvaggiume non manca, massime nella parte di levante ne’ monti Casari, e i cacciatori vi trovano cervi, cinghiali e daini. Le volpi sono frequenti nelle altre regioni come pure le lepri.
I cacciatori di uccelli trovano facilissima preda in tutte le parti.
Il terreno è in molti tratti assai fecondo, e se la coltivazione fosse meglio praticata i prodotti, dove concorresse il favor del cielo, sarebbero assai più ricchi.
Sono applicati all’agricoltura persone 240.
Le misure della seminagione sono di starelli 800 di grano, 350 d’orzo, 160 di fave, 50 di legumi, 60 di lino.
La produzione ordinaria del grano è al 12, quella dell’orzo al 15, quella delle fave al 12, quella dei legumi al 7.
L’orticoltura si esercita sopra una ristrettissima superficie, sebbene molti siti si prestino alla medesima.
La vigna vi trova conveniente il suolo ed il clima, escluse certe posizioni poco favorevoli.
La vendemmia suol essere copiosa e i vini riuscirebbero di maggior bontà se la manipolazione fosse fatta con maggior intelligenza.
Son pochi gli alberi fruttiferi, e ciò condanna la poca industria de’ Friasini, i quali potrebbero avere un sussidio dalle varie frutta, e lucro dalla coltivazione de’ gelsi e degli olivi.
Si hanno a più delle vigne circa 600 starelli di terreno chiuso, dove si fa la seminagione e si tiene a pascolo il bestiame manso, quando sono a maggese.
La pastorizia non è negletta, ma non tanto curata, quanto permetterebbe il terreno vasto e molto fertile di pascoli.
Il bestiame manso numera buoi per l’agricoltura 220, vacche mannalite, vitelli e vitelle 150, cavalli e cavalle 80, giumenti 200, majali 90.
Nel bestiame rude sono vacche 700, esclusi i capi minori, pecore 3500, capre 5000, porci 800, cavalle 60.
Quei che attendono alla pastorizia tra grandi e minori non sono meno di 90.
I formaggi sono di certa bontà relativa. L’arte è poca e mal guidata da massime tradizionarie.
 
Commercio. La produzione tanto del terreno che degli armenti e delle greggie è superiore a’ bisogni del paese, e si guadagna dal superfluo che vendesi a’ negozianti di Cagliari.
Il guadagno sarebbe assai più considerevole se fosse agevole il trasporto delle derrate, cioè se fossero strade per carreggiare facilmente. Non sarebbe molto dispendiosa, considerata la distanza di miglia 3 1/2 dallo stradone della Trecenta, e la natura del luogo, la formazione di una strada comunale.
La coltura delle api potrebbe essere un ramo considerevole d’industria, ma è quasi negletta.
 
Antichità. Nel centro stesso di questo abitato esisteva una chiesetta di s. Marta, le cui mura sono state distrutte nel 1829, per impiegarne il materiale in altri edifizii. Nello scavo fatto per le fondamenta si trovarono dei canali impiombati larghi un palmo e mezzo, e si scoprì una stanzina tutta smaltata anche nelle mura, ed il suo pavimento alla mosaica con tre gradini per discendervi, dove mettean foce i canali. Osservaronsi nelle pietre delle figure scolpite, ma per la loro smisurata grandezza non si poteron levare.
Siffatte antichità non furono osservate da persone intelligenti, e però non si tenne alcun conto delle medesime. Aspettiamo che qualche persona erudita voglia prendersi la curiosità di scavare e ricercare; forse si potranno rinvenire altri oggetti di antichità romana, quali sono certamente gli indicati, e riconoscere quelli che furono già ritrovati. Questo paese era compreso nell’antica Jolea, dove i Pelasghi di Jolao si stabilivano usurpando le terre agli indigeni.
In così vasta estensione furono senza dubbio altre popolazioni; ma noi non possiamo indicare che due soli punti, il primo in distanza d’un’ora verso greco nella via che conduce a Gerrei, e segnatamente nel salto detto Sanguinirubiu dal colore rosseggiante della terra, dove si riconoscono vestigie d’antico abitato. Gran parte di essa regione, d’estensione non meno di starelli 600, si possiede da un signore che vi fabbricò una casa di campagna e vi fece una piantagione di gelsi per la coltivazione de’ bachi; l’altro nel luogo detto deis Calcinaius, dove parimente sono molte linee di fondamente e gran copia di rottami sparsi.
Non possiamo dire nè il numero preciso, nè i nomi dei nuraghi, e solo ci limiteremo a notare che se ne trovano a tutte parti e che alcuni sarebbero degni di essere visitati da persone intelligenti. La massima parte sono disfatti più che a metà.




[1] Vittorio ANGIUS, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo CASALIS), vol. XVIII, Torino 1849, pagg. 89-94.

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