lunedì 9 gennaio 2017

Guasila

Immagini della Trexenta ottocentesca: Guasila[1]
 
GUASILA, anticamente GOY-ESILI, villaggio della Sardegna nella prov. e pref. di Cagliari, capoluogo di mandamento con giurisdizione sopra Pimentel, Ortacesus, Barrali, Guamaggiore. Comprendevasi nella Trecenta, che fu un dipartimento del giudicato pluminese o cagliaritano.
La sua situazione geografica è nella latit. 39° 33' 30", e nella longit., occid. di Cagliari 0° 5'.
Siede Guasìla sopra un piccolo prolungato rialto (sa serra), che poi declina in un fondo pantanoso, sì che resta in sulla sponda del bacino della Trecenta. La sua esposizione è tale che sente tutto l’influsso del ponente e del sirocco. La tramontana trova ostacolo nel monte Corona, e il levante ne’ monti di s. Basilio. Il caldo è un po’ mite, ma il fredd’umido penetrante. La nebbia ingombra quella parte dell’abitato, che trova-si alla parte di levante, dove è nulla la indicata eminenza, non isvanisce se non dopo alcune ore di sole, e sentesi molto nociva. Le case sono circa 480, tra le quali è degno di menzione il palazzo rettorale, che dicesi fatto per esser abitazione vescovile quando progettavasi di separare dalla diocesi di Cagliari quella di Dolia. Le strade sono irregolari, ed alcune difficili.
L’estensione del territorio è di circa starelli 8000, una piccola parte de’ quali sono nel piano. I principali colli diconsi Monte-Corona, Sèbera, e Siocco, il primo de’ quali è quasi al settentrione del paese, l’altro al libeccio, il terzo all’austro, tutti e tre distanti circa un’ora. La punta di Monte-Corona è detta Montacuzzu, e da essa spazia l’occhio per un estesissimo orizzonte. Il Sebera vantasi ricco di rame e di argento, e notasi in esso una cava di alume, che fu poco curata. Vi è frequente la roccia arenaria, e trovasi uno strato di certa pietra azzurra e poco compatta, che usasi nelle costruzioni.
Fra le erbe non sono altre usate che la Rubia tinctorum, che i guasilesi dicono Corijedda, ed usano a tingere in rosso i sajali; e la timelea, che appellano truiscu, e adoprano mescolatamente al vitriuolo per dare il nero.
Alla estremità boreale questo territorio è diviso dall’agro di Villanovafranca, e Villamar per il fiume Seppìu che proviene da Mandas. Accresciuto da altri ruscelli passa tra i detti territorii, ed unitosi al fiume di Villamar, scorre sotto il ponte di Furtei, e quindi entra nel Caralita. Queste acque han poche anguille.
La gora detta Riu Arài nasce nelle eminenze di Gesico e Guamaggiore, e dalla parte di greco entra in questo territorio, dove tendendo al meriggio, traversa tutto il vigneto. Poco considerevole è il volume delle sue acque: non pertanto ne’ tempi piovosi vedesi crescere in tanto, che ridondando dal canale, cagiona gravi danni ai predii vicini, e ad una parte del paese, dove passa volgendosi all’austro.
Nel paese sono alcune fonti pubbliche, e molte private; ma siccome sentonsi alquanto amare, però servono solamente per il bestiame e per gli usi di famiglia.
 
Popolazione. Nell’anno 1839 erano in Guasila famiglie 475 ed anime 1807, delle quali 870 nel sesso maschile, 937 nel sesso femminile. La media del decennio dava nascite 65, morti 35, matrimonii 12. L’ordinario corso della vita è ai 65 anni, e non sono rari gli ottuagenari e nonagenarii. Le più frequenti malattie sono infiammazioni, ostruzioni di milza e fegato, e l’ernia massime ne’ più laboriosi per li grandi sforzi che tentano. Attendono alla sanità pubblica un chirurgo ed un flebotomo. In questo paese sono stabilite due farmacie.
 
Professioni. Sono applicate all’agricoltura famiglie 470, alla pastorizia 28, ai mestieri 32. Quindi sono a notare 4 famiglie nobili, 6 notai, 5 preti, ecc. Le famiglie possidenti sono 400. In ogni casa trovasi il telajo, e le donne lavorano tele, sajale, coperte di letto, e quanto è necessario per il servigio di tavola.
Alla scuola primaria non intervengono più che 15 fanciulli.
 
Agricoltura. Il terreno generalmente è di gran fertilità, e suole ogni anno ricevere starelli di grano 2000, d’orzo 400, di fave 500, di legumi 100. Il grano suol dare il 15, l’orzo il 25, le fave il 15, i legumi l’8. Di lino se ne semina così poco, che sia d’uopo comprarne. Le erbe ortensi non si coltivano che in soli tre luoghi, onde che mancano a soddisfare ai bisogni.
La vigna è prospera, le uve comunemente sono nere, onde anche il vino è nero, e in una quantità non minore di quartare 25000. Le uve bianche possono complessivamente dare 1000 quartare. Sebbene non si faccia distillazione, appena si ha la sufficienza al bisogno della popolazione.
Le piante fruttifere più comuni sono olivi, mandorli, pomi, peri, susini, peschi, albicocchi, melograni e fichi. La somma darà individui 12000.
Le terre chiuse per seminarvi e per pascolarvi gli animali domiti occuperanno una superficie di circa 700 starelli. Tra queste tanche sono ragguardevoli le appellate Isconcas, e l’Orto di Callus a libeccio del paese in distanza di circa 2 miglia. Questa regione ha varie collinette coperte a olivi e ad altri fruttiferi, e separate da vallette piantate a vigne. Alcuni rivoli formati da piccole sorgenti di acqua finissima mantengono l’amenità. Ivi più che altrove trovansi i conigli, le pernici, i merli, gli usignoli ed anche il fagiano. Le collinette di Siocco divise in varie tanche coperte di olivi e di olivastri, offrono una bella prospettiva; e perchè la regione è un po’ elevata, tienesi sotto lo sguardo tutto il terreno intermedio fino alla capitale, il cui golfo vedesi distintamente. Siocco appartiene nelle più parti a Ortacesus, ma è posseduto da proprietarii guasilesi.
Il bosco per legne grosse da opere e da fuoco manca, epperò devono i guasilesi far un viaggio di cinque ore coi loro carri per provvedersi nelle montagne di s. Andrea. Le legne piccole non mancano nelle tre colline già nominate.
 
Bestiame. Nell’anno 1839 numeravansi in Guasila buoi per l’agricoltura 500, cavalli 100, giumenti 250, i quali nutronsi nelle stalle; quindi pecore 6000, porci 500, vacche 400, che pascolano nella campagna. È abbondante il pollame, e gli alveari sono circa 300. Si aggiungano i majali, che sorpassano i 300 capi.
Il prodotto delle pecore è di mediocre bontà. Il formaggio sommerà a circa 750 cantare, la lana a cantare 500.
 
Selvaggiume. Abbondano in questo territorio le lepri, i conigli, le pernici, tortore, quaglie e beccaccie, ecc. Nella piccola palude, che dicono Pixinitu di circa dodici starelli di superficie, e formata dalle acque delle vicine eminenze, si possono nell’inverno prender anitre, folaghe ed altri uccelli acquatici. Nell’estate l’acqua svanisce, e mietesi la sala, che si impiega a formar stuoje.
Strade. Da Guasila va un pedone a Pimentel in poco meno di due ore, a Guamaggiore in un terzo d’ora, a Segario in un’ora, a Villamar in due ore, a Villanova-franca in due ore e mezzo, a Ortacesus in un’ora, ecc. Tutte queste vie sono carreggiabili e comode; ma nell’inverno sono in grandi tratti molto difficili per li fanghi.
 
Commercio. Dai prodotti agrarii e pastorali, e da altri minori articoli possono i guasilesi guadagnare all’anno lire nuove 60000. Per la festa dell’Assunta tienesi una fiera.
 
Religione. Questo popolo è sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari, siccome vescovo di Dolia. Il parroco, che attende alla cura delle anime, prende il titolo di rettore, ed è in questo ministerio assistito da altri quattro sacerdoti.
La chiesa parrocchiale è sotto l’invocazione della Vergine Assunta, ben adorna di marmi, ricca di vasi ed altri arredi sacri, ed osservabile per varie sculture del celebre Giuseppe Antonio Lonis di Senorbi.
Le chiese minori sono appellate da santa Lucia, dalla Vergine del Rosario, e fuori del paese da s. Marco, da s. Raimondo, da s. Assuìna, da s. Gemiliano, e dalla Madonna d’Itria.
Vi è una sola confraternita religiosa, la quale si aduna nell’oratorio del Rosario.
La festa principale del paese è addì 15 agosto con gran concorso dai vicini paesi e dipartimenti, corsa di cavalli, fuochi artificiali, balli, ed altre pubbliche ricreazioni. Fuori del paese si celebra la festa della Vergine d’Itria nel terzo giorno della Pasqua di Pentecoste.
 
Antichità. Presso la chiesa quasi distrutta di santa Giusta si osservano vestigie di antica popolazione; quindi nella regione, che dicono Corte-Melas, ed al settentrione di questa in distanza di mezzo miglio altri indizii di abitazioni nel sito che alcuni dicono Seppìu, o come usa il volgo Is Corpus-Santus per certe sepolture a fabbrico, che si trovano nel medesimo. A ponente del paese, in distanza di un quarto d’ora, sono visibili gli avanzi dell’antico Sennoru, nome ancora rimasto al luogo, dove scavandosi, si trovarono camere intere, e cisterne, che furono demolite per servirsi delle pietre e dei mattoni. Quindi nella stessa direzione, in distanza d’un’ora, a piè del monte Sèbera, nel distretto di s. Anastasia, veggonsi rovine, che potrebbero essere dell’antica Sebera; come son pure vedute nella regione di Siocco; finalmente presso la chiesa d’Itria sono le reliquie di Ei, o Dei. Tra questi avanzi accade spesso di trovare grandi pile di pietra, ossa umane, lampadi sepolcrali, brocche, scodelle, e presso l’ultima nominata si trovano pure piccole monete di rame e d’oro. Niente si sa sul tempo e sulla causa della distruzione di tanti paesi: restò appena tradizione sopra il paese Dey, il quale dicesi disertato per una pestilenza. Questi paesi, Sebera, Siocco e Dey trovansi tra molti altri notati nella carta di donazione della Trecenta fatta da Torgotorio di Cagliari al suo figlio Salusio di Lacon, un cui frammento abbiamo riportato nell’art. Giudicati sotto il titolo: Linguaggio Sardo nel tempo dei Giudici.
Norachi. Quelli, che trovansi in questo territorio, sono appellati Lionessì, Domu dess’Orcu, Nuragi de Sioccu, Nuraddei, e Corrogas. I più sono in gran parte distrutti.




[1] Vittorio ANGIUS, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo CASALIS), vol. VIII, Torino 1841, pagg. 287-292.

Nessun commento:

Posta un commento