martedì 6 dicembre 2016

Guamaggiore

 
GUAMAGGIORE, altrimenti GOY-MAGGIORE, villaggio della Sardegna nella provincia di Cagliari e nel mandamento di Guasila sotto la prefettura di Cagliari.
Comprendesi nella Trecenta che fu parte del giudicato pluminese o cagliaritano.
La sua situazione geografica è nella latitudine 39° 34', e nella longitudine occidentale da Cagliari 0° 2' 30".
Infelicissima è la posizione di questo paese, giacendo esso in fondo del bacino della Trecenta in luogo pantanoso e umidissimo nelle stagioni piovose, frequentemente ingombro di nebbie, principalmente al primo mattino, e non ventilato; mentre poi nell’estate si deve soffrire un calore soffocante nell’esposizione in cui è al meriggio e col riverbero che dee patire dalla collina che sorge alle sue spalle. In questo luogo di somma insalubrità si stabilivano le abitazioni dopo l’ultima pestilenza che si patì nell’isola correndo gli anni 1651-52-53-54. I pochi superstiti riconoscenti verso il martire san Sebastiano che avevano invocato nell’orrore della mortalità edificavano secondo il voto una chiesa al suo culto, e sì per amore al santo, sì per disaffezione a un luogo dove avean veduto spegnersi le vite de’ loro più cari, lasciate le antiche abitazioni che erano in una piccola eminenza, discesero a stabilirsi in torno alla chiesa del loro protettore.
 
Popolazione. Nell’anno 1839 erano in Guamaggiore famiglie 210 ed anime 896, delle quali 479 nel sesso maschile e 417 nel femminile. La media ottenuta dal decennio dà nascite annuali 33, morti 24, matrimonii 7. L’ordinario corso della vita è a’ 60 anni. Le malattie più frequenti sono le infiammazioni. Si è osservato che nelle influenze epidemiche sono più pochi in proporzione quelli che succombono in questo paese. Il cimitero è nelle due chiese rurali di s. Ma-ria-maggiore e di s. Pietro apostolo nell’anzi indicata eminenza.
 
Professioni. Delle famiglie che compongono questo comune 160 attendono all’agricoltura, 15 alla pastorizia, 24 a varii mestieri. Quindi sono a notarsi 4 famiglie nobili e alcune altre, i cui capi hanno qualche ufficio o sono semplici proprietarii. Le famiglie possidenti sono 171. Le donne lavorano ne’ loro telai tele e panni grossolani, ma poi non producono nè pure quanto vuolsi dal bisogno della famiglia.
Alla scuola primaria concorrono circa 20 fanciulli. Il frutto che fin qua si ottenne, può riputarsi nullo. Al più 30 persone in tutto il paese sapran leggere e scrivere.
 
Territorio. La superficie appartenente a questo comune può computarsi di starelli 3600. La forza produttiva del terreno è conosciuta universalmente, così come nelle altre parti del dipartimento, che è la regione eminentemente granifera.
La maggior parte di questo territorio sono colline e rialti coltivabili e coltivati. L’eminenza più considerevole è quella che dicono Genna de Sutzulias, intorno alla quale è un orizzonte vastissimo stendendosi la vista dove 30 e dove più di 50 miglia.
Acque. Sono alcune sorgenti d’acque dolci sì, ma poco grate al gusto; tali sono quella di Bacu-coloru verso l’ostro-libeccio a un quarto d’ora, dalla quale beve il popolo; Mistirio verso il scirocco a pochi minuti, le cui acque dopo aver irrigato alcuni orti scorrono verso il meriggio, e subito si mescolano a quelle di Baraci proseguendo nella stessa direzione sino alla regione detta Pauli de bois nel territorio di Ortacesus. Dalla Corti-de-forru prende origine un ruscello che cresciuto con le acque della fonte appellata della foglia (sa mitza dessa folla) scorre nel territorio e tra le vigne di Guasìla, dove prende il nome di Riu-Arai. Nelle case si hanno de’ pozzi per li bisogni domestici e per abbeverare il bestiame manso.
Per l’ordinario non sono acque stagnanti nel territorio: ma se accade che non si puliscano e sgombrino i canali del luogo che dicono Pauli-manna al ponente del paese in distanza di circa 10 minuti, allora, se le prime pioggie autunnali siano dirotte, formasi un laghetto sopra una superficie di circa 15 starelli, e non si asciuga se non ne’ grandi calori. In esso vedonsi nuotare le anitre per molti mesi.
 
Selvaggiume. Trovansi in questo territorio conigli e lepri in grandissimo numero, e molte volpi che danno gran molestia a’ pastori massime nel tempo che il bestiame figlia. Vedonsi pure avoltoi, corvi, cornacchie, passeri, cardellini, quaglie, meropi, upupe, merli, tortorelle e tante altre specie che saria lungo a dire. Vuol-si che siavi anche il fagiano.
 
Agricoltura. Vegetano prosperamente in ogni parte i grani, l’orzo, le fave, i ceci, le cicerchie, le lenticchie, i piselli, come gli ulivi, i peri, i susini, i mandorli, i meligranati e le viti; in alcuni siti bassi i melloni, le zucche, la meliga, i fagiuoli; e verrebbero pur felicemente il cotone, il sorgo, ed altre simili piante che amano i bassi fondi.
L’ordinaria quantità de’ cereali che si semina, consiste in 600 starelli di grano, che comunemente rende il 15; in 200 d’orzo, che dà fino il 30; in altrettanto di fave, che moltiplicano quanto il fromento; in 12 di ceci e cicerchie, che producono anche il 10; in tre quarre di lenticchie che danno fino il 25, ecc. Il lino che si semina può ammontare a 10 starelli e se ne raccolgono circa 4000 manipoli che maciullati posson pesare 4 o 5 oncie per ciascuno.
Dalle vigne ottiensi mosto abbondante, e si fa vino bianco e nero. Le uve bianche sono il moscatello, la malvagia, il semidano, l’erbaposada, l’uva d’un grano, l’occhio di rana, il galoppo, il nuragus, l’apasorgia bianca: le nere sono il mustello o bovàli, la zaccarredda, la monica, il girò, la merdulina, il cannonao, la apasorgia nera, la nieddera, il rosanera.
Ne’ fruttiferi si distinguono ulivi, peri, fichi, susini, pomi, mandorli, e molte altre specie e varietà. È però vero che il numero n’è assai ristretto.
In alcuni chiusi si coltivano le piante ortensi.
Le terre chiuse per seminarvi e tenervi a pastura il bestiame domito possono avere la superficie complessiva di 110 starelli. La cinta è formata a pietre senza cemento o è da una siepe di fichi d’india.
Nel territorio non vedesi nè bosco, nè selva; occorrono però frequentissimi gli olivastri e i perastri.
 
Bestiame. Nell’anno 1839 si numeravano vacche 60, buoi per l’agricoltura 120, cavalli 40, giumenti 80, pecore 3500, porci 200. Il bestiame domito si nutrisce nelle case de’ proprietarii con fave, orzo e paglia nell’autunno e inverno, con l’erba nella primavera, con le stoppie nell’estate: il bestiame rude nelle terre aperte. I soli porci sono menati via nell’inverno per esser ingrassati ne’ ghiandiferi di altri dipartimenti.
 
Commercio. Da’ prodotti agrarii e da altri minori articoli possono questi popolani lucrare all’anno ll. n. 35 mila. Per s. Maria Maddalena si celebra una piccola fiera.
La distanza di Guamaggiore da Guasila e da Selegas è di circa un miglio.
 
Religione. Comprendesi questo popolo nella giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari, siccome vescovo doliese. Il paroco che li governa ha il titolo di rettore, ed è assistito nella cura delle anime da altri due sacerdoti. La chiesa parrocchiale situata quasi nel centro della popolazione è dedicata al martire s. Sebastiano, in cui onore si celebrano ogni anno due feste, una addì 20 gennajo e l’altra addì 5 maggio in memoria della dedicazione. Ad ambe è gran concorso anche da’ vicini paesi, e molti vanno veramente per motivo di religione.
Al libeccio del paese e in piccola distanza dal medesimo sopra due distinti rialti sono tre chiese, una dedicata a santa Maria maggiore, l’altra a s. Pietro, la terza a s. Maria Maddalena. La prima fu chiesa parrocchiale quando la popolazione abitava intorno. È di costruzione antica, ed è conosciuta l’epoca da una lapida in barbaro latino che vedesi nella facciata, nella quale notasi che cominciossi a edificarla addì 20 agosto dell’anno MCCXIIII. Questa e l’altra di s. Pietro rinchiuse entro un muro, servono per cemiterio.
Per la festa di s. Maria Maddalena, che cominciò a celebrarsi da circa 83 anni, quanto è il tempo scorso dalla sua edificazione, concorrono molti da’ vicini paesi chi per divozione, chi per ricreazione, e altri per ismerciarvi frutta, vini, confetti, panni e stoffe.
 
Antichità. Norachi. Sono conosciuti co’ nomi seguenti, norace de Baccas, Friarosu, Sa Corti deis Bacus, Marigianu, Barru, Su bruncu dessu sensu, Laus de leoni, Titirìu, Pitzu Ecis, s. Maria Maddalena, Perdosu, Su bruncu de Giuanni Zuddas, Ungrera, Nuragi de Mindas, Sa corti dessu Seci, Montacuzzu, Ruina-enna, Atza-casu. Il più considerevole è il detto Montacuzzu, gli altri sono in gran parte distrutti e di alcuni non restano che le sole fondamenta. I norachi di Pitzu Ecis, e Giuanni Zuddas furon distrutti per usare i materiali a una chiudenda, e quello di s. Maria Maddalena per fabbricar l’attuale chiesa. È da notarsi che presso al norace Baccas si scopersero intorno al 1820 alcuni pezzi informi di bronzo con varii istromenti a lavorare su’ metalli.
È poi da vedersi presso a questo stesso norace un fabbrico antico di grosse pietre in forma circolare, che volgarmente si appella Su fràigu deis morus (la fabbrica dei mori).
In varii luoghi di questo territorio gli agricoltori scoprirono sepolcri, ne’ quali trovarono ossa, lucerne, scodelline, vasi lacrimatori e antiche monete. Le misure de’ sepolcri e delle ossa sono al solito esagerate, e si suol far credere che fossero tombe di giganti.
 
Popolazioni antiche. Alcuni indizii sembrano ricordare l’esistenza di alcune popolazioni, delle quali ignorasi il nome; ed essi si trovano presso norace Mindas, in su Corti dessu Seci, in Barru, in Perdosu.




[1] Vittorio ANGIUS, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo CASALIS), vol. VIII, Torino 1841, pagg. 279-283.

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