giovedì 1 dicembre 2016

Barrali

Immagini della Trexenta ottocentesca: Barrali[1]
 
BARRALI, villaggio della Sardegna nella provincia di Cagliari, distretto di Ussana, e tappa (uffizio d’insinuazione) di Cagliari. Comprendesi nell’antico dipartimento di Trejenta del giudicato di Cagliari. L’antico nome di questo paese era Villarìos.
Giace alle falde di Montiùda, che divide la Trejenta dal Partiolla. Componesi di 75 case distribuite irregolarmente. Le strade sono senza selciato, e non si cura di tenerle monde.
Questa parrocchia è nella giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari come vescovo di Dolia. La chiesa è sotto l’invocazione di s. Lucia v. e m., e fu rifabbricata nel 1832. Il preposto alla cura delle anime era per l’addietro qualificato rettore, ma per la tenuità dei frutti decimali già da 30 anni in qua vi si è instituito un pro-vicario. Per la festa principale della titolare che si è fissata nella prima domenica di luglio, si celebra una piccola fiera, l’altra festa occorre addì 13 dicembre.
Nei primi anni del corrente secolo la popolazione sommava appena a 200 anime. Nell’anno 1833 si annoverarono famiglie 75 e anime 246. Il numero ordinario dei nati è sotto i 10, e quanti nascono, tanti poco meno muojono.
Vestono nelle stesse maniere degli altri campidanesi, se non che se ne distinguono per la minor pulitezza. Amano molto i balli, e volentieri passano le lunghe ore in ozio, bruciando tabacco.
La temperatura è calda, e l’umidità è assai sensibile nelle notti: la nebbia domina in ogni stagione, nè prima si dirada, che sia l’atmosfera ben riscaldata dal sole: poco danno, o nulla credono patirne i nativi, contro ciò che con più verità si può dedurre dalla loro poco sana costituzione, dal colorito squallido e gialleggiante, e dalla brevità della vita.
Le tempeste di grandine e di fulmini sono rare. Il paese è situato su d’un piano umido in un seno alla falda del detto monte, dove non altro vento passa che il ponente. Da ciò deducasi qual aria vi si respiri. Alcuni pioppi, che in diversi siti dell’abitato frondeggiano, ne rendono la prospettiva un po’ amena, e nella primavera vi si riunisce gran numero di usignoli, che riempiono l’aria di gratissimi armonici concenti.
Il Barralese nei tratti coltivabili sì del piano, come del monte non potrebbe capire più di 1000 starelli di semenza (ari 3986), mentre la superficie può calcolarsi a 15 m. q. Le terre alla parte di ponente sono delle altre più idonee ai semi, e vi fruttifica bene il frumento, l’orzo, le fave, e le cicerchie. Lungo il fiume potrebbe venir prosperamente anche la meliga, e naturarvisi il cotone, come persuade l’esperienza del 1821, fatta come in altri territori d’ordine vice-regio, e poi non più ripetuta.
Al monte agrario di questo paese era stato assegnato il fondo granatico di star. 400 (litr. 19,680), ed il nummario di lire sarde 435 (l. n. 835.20). Nello stato del 1833, il primo comparve cresciuto a star. 1000, il secondo ridotto a lire sarde 33.10.
L’ordinaria somma delle semenze va a star. 570, così spartiti, che diansi ai solchi 250 di grano, 200 d’orzo, 100 di fave, 20 di cicerchie. La raccolta suol computarsi da 5 in 6 mila starelli. Gli orti producono cocomeri, zucche, poponi, fagiuoli, cipolle. Di lino se ne coltiva tanto, che sia sufficiente ai propri bisogni. I telai non son più di 20. Poche sono le vigne, poche le varietà delle uve, il vino di mediocre bontà, che non sempre basta alla consumazione. Le piante fruttifere sommeranno a circa 800; le specie sono peri, prugni, mandorli, ed alcuni gelsi e cotogni. I chiusi sono 35, e comprendono una superficie di star. 150 (ari 5,979), nei quali alternasi la seminagione del grano e delle fave.
Fuor dei pioppi, nessun’altra specie di alberi vedesi vegetare in queste terre, dove sarebbero utilissimi e per bonificar l’aria, e per somministrar delle legna e per le opere e pei focolari.
Tutti i poderi, come nella massima parte dei Campidani si osserva, sono assiepati con fichi d’India, che vi vegetano con molto lusso. Sono fruttuosissimi, e quindi per alcuni mesi la misera gente trae la sua sussistenza, il restante serve ad ingrassare i majali.
In questa regione nessun’altra eminenza è da rimarcarsi, ad eccezione di Montiùda, dalla quale scopresi grande estensione intorno. È sparsa di macchie, di lentisco, e di cistio, e vi nasce un po’ di pascolo.
Gli animali che si educano, sono vacche, capre, pecore, giumenti, cavalli, e porci. I buoi per l’agricoltura sono congiunti in 36 gioghi, le vacche sommano a capi 150, le pecore a 600, le capre a 200, i giumenti a 100, i cavalli a 25. Il cacio non è di alcuna riputazione, e non eccede la consumazione del paese.
La cacciagione si esercita contro conigli, lepri, e pernici. Il vicino fiume durante l’inverno vedesi popolato di anitre, e di galline acquatiche.
Due o tre sorgenti poco considerevoli sia per la qualità, sia per la quantità trovansi nel monte: sono assorbite prima di toccare le sponde del fiume. Questo è un confluente del Caralìta, che finora non ha un nome proprio nella corografia sarda, sebbene molti ne abbia nello sviluppo della sua linea entro i diversi territori, che bagna (Vedi articolo Trejenta). Scorron le sue acque a ponente del paese alla distanza di 8 min. Il suo guado trovasi nella stessa direzione sulla strada a Pimentèl: non è pericoloso, che dopo grossi temporali, estendendosi allora circa un quinto di miglio. Le inondazioni recano sempre gravi danni agli orti; e quando accadano prima che le messi siano conservate, si rischia di perderle, da che le aje si fanno presso alle rive. A mezz’ora dal paese presso il luogo, dove esisteva l’antica popolazione di Santàdi, ossia Natali, pare di riconoscere il piede del ponte, per cui si passava ad una chiesa, di cui ora nè appariscono pure le vestigie. Ben però sono visibili quelle della detta popolazione, essendo frequenti le rovine, ed anche i sepolcri. Nella primavera pigliansi in queste acque bellissime trote, e nel romper dell’autunno una considerevole quantità di anguille, che vendesi con molta riputazione.
Questo territorio si traversa dalla strada provinciale della Ogliastra, e avvicinasi al paese poco più d’un miglio.
Baràli è distante da Pimentèl mezz’ora; da Ortacèsus e Samazzài 3/4; da s. Andrea, Senorbì, Arixi, Donòri un’ora; da Suelli, Sèlegas, Guamaggiore un’ora e 1/4; da Guasila un’ora e mezzo; dalla capitale 5 ore e mezzo. Le strade sono carreggiabili, ma non senza qualche difficoltà, principalmente d’inverno.
Di cose antiche altro non si può osservare, che le su accennate rovine di Santàdi, ed un sol norache sopra Montiùda, donde si vede tutto il cratere della Trejenta.
Comprendesi questo comune nel feudo di Trejenta appartenente al marchese di Villasor. La curia è stabilita in Guasìla, e le sono soggetti Guamaggiore, Ortacèsus, e Pimentèl. Per li dritti feudali V. Guasìla. Sono coscritti da questo paese 19 individui al battaglione di Serra-manna dei corpi miliziani.




[1] Vittorio ANGIUS, in Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (a cura di Goffredo CASALIS), vol. II, Torino 1834, pagg. 161-164.

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