mercoledì 9 novembre 2011

CUCCURU DE CASTEDDU (Villamar)

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CUCCURU DE CASTEDDU (Villamar) 
di Sergio Sailis

Tra i molti studiosi che si sono interessati alla storia della Sardegna, ed in modo particolare delle sue fortificazioni, pochi, anche nei secoli passati, hanno trattato di questo fortilizio, ormai quasi completamente distrutto, situato in prossimità di quello che era l’antico confine tra il Giudicato di Cagliari e quello di Arborea. 

Localizzazione:

I.G.M.: Foglio 539 sezione II – Villamar, scala 1:25.000


 
 
 Provenendo da Guasila lungo la S.P. n. 35 Guasila – Villanovafranca all’incrocio con la S.P. 42 Gesico –Villamar si svolta a sinistra in direzione Villamar e dopo circa 2 km sulla destra, a circa 500 metri dalla carreggiata, si nota la sagoma inconfondibile della collina, un ripido mammellone molto simile a quello ben più famoso di Las Plassas anch’esso fortificato; sulla sommità dell’altura sono ancora visibili i ruderi della fortificazione che da una certa distanza possono essere scambiati per formazioni rocciose naturali.

 

Cuccuru de Casteddu lato sud















 

Cuccuru de Casteddu lato sud con le colline circostanti
Dalla sua cima si ha un’ampia visuale a sud su una buona parte della valle solcata dal torrente Sippiu/Lanessi (sino ai contrafforti delle basse colline di Castangiolas e Genna Pisanu) mentre a ovest sulla valle quella attraversata dal Rio Mannu. La visuale a nord è preclusa dalle limitrofe colline di “Pranu Idda” mentre a nord-est da quelle di “Bruncu Argiola” e “Bruncu Murdegu” per cui si può presupporre che dovette appartenere al castelliere del Giudicato Arborense.

La zona era ampiamente frequentata sin dall’epoca nuragica. Il colle infatti è situato circa 1,5 km a sud del complesso nuragico di “Su Mulinu” di Villanovafranca e, in direzione sud sud-est, a circa 700 m. troviamo il nuraghe Bruncu Sa Fa e a circa 1,5 km il complesso nuragico di Nureci solo per citare quelli più prossimi. Considerando i frammenti ceramici che si rinvengono sulle pendici della collina non è escluso che anche la fortificazione di Cuccuru de Casteddu sia stata edificata su un preesistente insediamento di epoca nuragica ormai scomparso. Il territorio circostante successivamente risulta densamente abitato anche in epoca romana (notevole un sarcofago rinvenuto in agro di Guasila a circa 2 km di distanza e oggi custodito al museo archeologico di Senorbì) ed in epoca medioevale.

Descrizione:
particolare della muratura a "spina di pesce"
L’edificio, oggi ormai totalmente diroccato e praticamente raso al suolo, occupava tutta la parte sommitale del colle per una superficie di circa 800-1000 mq. Attualmente sono ancora visibili alcune parti delle murature esterne realizzate con pietrame locale di piccola pezzatura non lavorato e legato con calce. In diversi settori si notano tratti di mura (alcuni realizzati con la tecnica a “spina di pesce”) che nelle pareti esterne, grazie anche ai dislivelli della collina, svettano anche per oltre 2 metri mentre in altri settori sono praticamente all’attuale livello di calpestio.


La struttura aveva pianta rettangolare di circa metri 27 x 30 e doveva essere munita di torri agli angoli; le murature nella parte nord e nord-ovest erano dotate di parete scarpata ancora oggi ben visibili. 
resti della torre sud-ovest

All’edificio si accedeva per mezzo di un ripido sentiero che, a circa 3 quarti del colle, si allargava in uno spazio realizzato con l’estrazione del materiale lapideo impiegato per le murature e nel quale vennero realizzate alcune costruzioni probabilmente adibite a ulteriori opere difensive o a locali di servizio.

Lungo il versante sud ed in quello nord-ovest e nord-est della collina si rinvengono tutt’ora numerosi frammenti ceramici, alcuni dei quali smaltati.

La mancanza di indagini archeologiche e la pressoché assenza di documentazione storica che lo riguardano ci impediscono di stabilire quando venne realizzato e quando (e perché) il fortilizio cessò di essere utilizzato e soprattutto se volontariamente, in quanto non più adeguato alle nuove strategie militari (o ai nuovi confini tra i due Giudicati), oppure a causa della sua distruzione a seguito di eventi bellici. 

Come accennato in precedenza, la fortificazione era localizzata proprio al confine tra il giudicato di Cagliari e quello di Arborea e più precisamente tra le attuali Guasila (Trexenta) e Villamar (Marmilla).

Sino all’impresa di Guglielmo di Massa della fine del 1195 [1] o degli inizi del 1196 [2], il confine tra i due Giudicati passava a circa 1,5 km dalla collina in cui era situato il fortilizio. In quel periodo infatti il Giudice di Cagliari Guglielmo I (alias Salusio IV) invase il Giudicato d’Arborea probabilmente per la via della poco distante Sanluri (circa 10 km in linea d’aria) e, dopo averlo sconfitto o comunque esautorato (non è ancora chiaro se effettivamente ci sia stato uno scontro campale), imprigionò il Giudice di Arborea Pietro I (e suo figlio Barisone) mentre l’altro Giudice condomino, Ugo Ponç de Bas, poco dopo riesce a rifugiarsi a Genova. Vista la vicinanza con Sanluri non è quindi escluso che parte delle operazioni militari abbiano coinvolto anche questa fortificazione.

Nel 1206, forse per mettere fine allo stato di tensione che nel frattempo si era instaurato con papa Innocenzo III [3](il quale non aveva mai riconosciuto la titolarità della conquista del Marchese di Massa) il suddetto Guglielmo e Ugo I de Bas, Giudice di Arborea (nonché suo genero per averne poco tempo prima sposato la figlia Preziosa) sottoscrissero un trattato con il quale venivano fissati “sas sinnas e confinis” ossia i nuovi limiti tra i due stati [4]. I confini, che precedentemente in questo settore passavano per le rovine del villaggio di “Sa Fa”, vennero spostati a “Sancta Maria de Sinnas de Maara” da alcuni identificata con la chiesa di Nostra Signora d’Itria (posta a circa 2,5 a nord nord-ovest di Villamar) mentre molto più probabilmente si tratta della chiesa di Santa Maria de Monserrat (situata circa 2 km a nord nord est di Villamar e a 4,5 km a nord nord ovest di Cuccuru de Casteddu). Il passo che ci interessa è il seguente:
“… et calarus totui s’orroia inter Su ’e Turri et Sancta Maria de Sinnas de Maara; et benerus inter muru de Donnigallu et issa domestia de Bani<u> de Baressa ilassando-lla a manu destra intru de Arbarei; et essit totui s’erriu derectu ad Sanctu Iorgi de Sinnas, et bennirus totui s’erriu derectu assa Funtana de Sissoni, et benerus derectu ad Cucuru de Stipoi, et calarus serra serra lassando ad manu destra s’erriu intru de Arbarei, et calarus totui s’erriu s’erriu ad serras de Masoni de Iustu, et calarus erriu erriu infini a sa bia ki baet dae Sellori et Sanctu Gavinu …”[5]

E’ quindi probabile che gli eventi bellici del 1195/1196 ed il conseguente spostamento dei confini del 1206 siano la causa del definitivo abbandono della fortificazione. [6].

Non è comunque da escludere che l’abbandono (o la distruzione) sia avvenuto precedentemente all’invasione dell’Arborea da parte di Guglielmo essendo ben nota la litigiosità dei Giudicati sardi e lo stato di guerra quasi perenne che nei decenni precedenti per almeno un secolo e mezzo sconvolse l’isola.

Meno verosimile, anche se comunque da non scartare a priori in assenza di elementi certi, potrebbe essere invece l’ipotesi che il castello sia stato costruito proprio a seguito della suddetta invasione di Guglielmo in modo da proteggere i nuovi confini stabiliti nel trattato del 1206.

Questa ipotesi infatti contrasta con l' orografia della zona (la collina ha buona visuale a sud e ad ovest quindi verso il Giudicato di Cagliari), la tipologia dei materiali impiegati (pietrame grezzo non lavorato) ed il fatto che dopo questo periodo le fonti documentarie relative alla Sardegna in generale diventano man mano più numerose ma il castello non viene menzionato nelle fonti pisane e catalane a meno di non voler identificare i ruderi con il non ancora individuato castello di “Montenuovo” [7] citato tra i castelli dei possedimenti pisani pertinenti alla terza parte dell’ormai ex Giudicato di Cagliari unitamente a quello di Baratuli (attualmente in agro di Monastir) e Orgoglioso (attualmente in agro di Silius). Poiché, come accennato in precedenza, la dislocazione lascia supporre che fosse adibito alla difesa del Giudicato di Arborea anche questa ipotesi risulta poco convincente.

LEGGENDE
Come ogni castello che si rispetti anche su Cuccuru de Casteddu sono sorte delle leggende popolari.

La forma conica della collina, molto simile ai cumuli di grano che si ammassavano nelle aie, e di quelle circostanti, che ricordavano i mucchi di paglia conseguenti alla trebbiatura, ha generato la seguente leggenda popolare:

Si narra che un ricchissimo possidente produceva tanti cereali che quando questi erano ammassati nell’aia sembravano una collina. Purtroppo quest’ uomo era tanto ricco quanto avaro per cui quando qualche povero gli chiedeva l’elemosina rispondeva che lui non possedeva niente e di conseguenza niente poteva dargli. Il Signore avendo notato che questo fatto si ripeteva in continuazione nonostante le ricchezze del possidente fossero ben evidenti decise di metterlo alla prova. Una mattina, travestito da mendicante, passò davanti all’aia e chiese un poco di grano in elemosina. Il possidente, come al suo solito, rispose che non poteva dargli nulla perché non aveva niente. Il Signore allora, indicando il grano ammassato nell’aia, gli chiese di chi fosse allora tutto il frumento che era li ammassato al che il possidente gli rispose che quello non era grano ma terra. Il Signore allora mesto si rimise in cammino. Il giorno successivo, il Signore ripassa davanti all’aia e la scena si ripete allo stesso modo. Il terzo giorno ancora una volta il Signore ripassò davanti all’aia e chiese nuovamente un poco di grano in elemosina. Il possidente rispose, come era suo costume, che i cumuli che si vedevano era di terra e che non aveva grano da dare. Il Signore allora per punire il possidente della sua avarizia trasformò in terra sia il grano che la paglia.

Una leggera variante della leggenda, raccolta a Villamar da Albertina Piras [8], narra che il Signore venne per tre volte nell’aia a chiedere una manciata di grano al ricco benestante ma questi gliela negò. Il Signore lo punì tramutando il suo ammasso di grano e il bestiame in terra e pietre.

Da mettere in evidenza inoltre come certe tradizioni orali in Sardegna siano radicate e diffuse anche a grande distanza. Infatti una leggenda molto simile venne raccolta da Giovanni Deriu relativamente a “sa Rocca de sos saccos” in comune di Semestene a circa 200 km di distanza  [9].

Il castello ha inoltre dato luogo ad un’altra leggenda popolare. Si dice infatti che dall’edificio parta un cunicolo che conduce direttamente all’interno di una chiesa di Villamar. Ovviamente la fantasia popolare, forse influenzata dalla presenza di qualche vano o ingresso visibile nei tempi passati tra i ruderi del castello ma oggi non più rintracciabile, ha alimentato questa diceria. Se si tiene conto dell’orografia della zona, possiamo dire che è estremamente difficile realizzare un siffatto tunnel in quanto Villamar dista in linea d’aria circa 3 km. ed inoltre alla periferia del centro abitato scorre il Rio Manno per cui il passaggio sotterraneo sarebbe dovuto passare sotto l’alveo del fiume con le conseguenze facilmente immaginabili visto che il terreno è di tipo alluvionale e senza stratificazioni rocciose superficiali.

Sergio Sailis


[1] Maurizio VIRDIS, Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, Monastir 2002, pag. LVIII. Cfr. anche Eduardo BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I, Officina linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pag. 80.
[2] Mauro G. SANNA, Il giudicato di Arborea e la Sardegna tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Aspetti storici, pag. 8; in Chiesa, potere politico e cultura in Sardegna dall'età giudicale al Settecento. Atti del 2° Convegno Internazionale di Studi, Oristano, 7-10 dicembre 2000, a cura di G. MELE, Oristano 2005. pp. 415-438, Oristano 2005.
[3] Raimondo PINNA, Santa Igia. La città del Giudice Guglielmo, Cagliari 2010.
[4] Arrigo SOLMI, Un nuovo documento per la storia di Guglielmo di Cagliari e dell'Arborea, in Archivio Storico Sardo - vol. IV - fasc. 1/2 - anno 1908, Cagliari 1908. Cfr. Eduardo BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I, Officina linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pagg. 77-84.
[5] Eduardo BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli - vol. I, Officina linguistica anno IV - n. 4, Nuoro 2003, pagg. 77.
[6] Francesco Cesare CASULA, Dizionario storico sardo, Sassari 2003, pag. 1887.
[7] Massimo RASSU, L’impronta di un Regno. Centri abitati e organizzazione territoriale nel giudicato di Arborea, Ghilarza 2008, pag. 111, il quale riprende le ipotesi di G. Ugas in "Villamar. Una comunità, la sua storia." (a cura di Giovanni Murgia), Dolianova 1993. In precedenza invece altri autori avevano identificato il castello di Montenuovo con quello di Monreale ipotizzando un cambio di denominazione successivo alla conquista catalano-aragonese: Piero AMAT DI SAN FILIPPO, Indagini e studi sulla storia economica della Sardegna, in Miscellanea di Storia Italiana: 3A serie, t. VIII, Torino 1902 pag. 358.
[8] Albertina PIRAS - Antonio SANNA, La Marmilla attraverso le sue storie e le sue leggende, Cagliari 2006, pag. 29.
[9] Giovanni DERIU, in “Notice sur les traditions populaires et religeuses de Semestene”, relazione dattiloscritta in “Corso di storia delle tradizioni popolari della Facoltà di Magistero di Sassari ( anno 1973-1974) riproposta con alcune varianti anche in Giovanni DERIU – Salvatore CHESSA, Semestene e il suo territorio – dal basso medioevo agli inizi dell’epoca contemporanea, EDES, Sassari 2003, pagg. 61-63.

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